Il Foro di Livio

I fantasmi del 17 marzo

Un curioso intreccio tra Forlì e Cagliari: l’incidente a palazzo Todde dove un romagnolo trovò la morte e un altro tornò a casa per miracolo

La fabbrica Bonavita di Forlì e, in primo piano, le impalcature di palazzo Todde di Cagliari

Il 18 marzo 1891 c’è apprensione in città. Erano tempi in cui Forlì si stava affermando come centro industriale, smarcandosi dalla vita rurale dai ritmi ancestrali su impulso di una borghesia dinamica pronta ad aggredire il secolo venturo. Non nascondendo una certa preoccupazione, Filippo Guarini scrive nel suo “Diario” che proprio in quel giorno “giunge notizia che jeri a Cagliari, ove si sta fabbricando un locale per una Esposizione di bestiame, è precipitata un’armatura seppellendo i membri della commissione e anche altri”. Si tratta di un fatto di cronaca che ha eco in Romagna perché “fra quegli infelici, dei quali cinque sono morti” vi sono due forlivesi: “uno morto, certo Gramantieri che da varii anni stava in Sardegna” mentre “l’altro ferito gravemente, Giovanni Bonavita”. 

Mentre del primo poco altro si sa, il secondo è tradito dal cognome che i più avvezzi alla storia locale avranno ricondotto alla famosa industria forlivese che sorgeva in luogo degli attuali giardini davanti a San Domenico. A prova di ciò, il conte Guarini asserisce: “Quest’ultimo ha in Piazza negozio d’armi e arnesi da caccia” e “va girando l’Italia come commesso della sua rinomata fabbrica di feltri e borre in piazza Sant’Agostino (antica Casa Romagnoli e Casette Pellegrini)”. Con questa mansione, dunque, si trovava là, sebbene non si possa escludere pure una semplice amicizia con l’imprenditore che lo volle far salire sulla fragile impalcatura. Impalcatura che poi rovinò provocando una strage di cui fu vittima pure Francesco Todde Deplano. Costui, dal cognome che nei giorni scorsi è balzato alle cronache politiche, era un avvocato e giornalista noto per aver progettato la Cagliari di fine Ottocento, vagheggiando quartieri decorosi secondo i canoni della borghesia del tempo. In realtà, a causa di problemi finanziari, poco si fece di quanto in cantiere se non un palazzo. Durante un sopralluogo in questo palazzo, si verificò l’incidente fatale per l’avvocato quaranticinquenne e per la delegazione che aveva invitato per verificare che da quella posizione si potesse ben vedere la processione della festa di Sant’Efisio che puntualmente si sarebbe tenuta il primo maggio. 

A Forlì, qualche anno prima, nel 1888, tre fratelli: Leonida, Ettore e Giovanni Bonavita, avevano fondato un opificio costruito di fronte al complesso dei domenicani diventato nel tempo una caserma dell’esercito. Vi si producevano pezze di feltro, le borre impiegate nella costruzione delle cartucce per I fucili a retrocarica. “La sua disgrazia è da tutti compianta” perché è “ben voluto” e il compilatore del prezioso diario fa il tifo per lui: “speriamo si salvi!”. Invero in quel giorno le notizie sono confuse e si teme il peggio, però “la sera giungono telegrammi più confortanti sulle condizioni del Bonavita, con grande piacere di tutti”. 

Il giorno 19, “la sera”, si sparge la voce che “a Cagliari hanno reso funebri dimostrazioni affettuose ad Andrea Gramentieri, e che al Bonavita è venuta oggi la febbre, e il pericolo non è scongiurato”.   Giungono solo il 21 notizie più distensive: “le nuove dal Bonavita sono tranquillanti”, infatti, in quanto “suo fratello andato a Cagliari a vederlo ha ricevuto infinite cortesie dal Prefetto, dal Sindaco, e da quella cittadinanza che gareggiano nelle attenzioni e nell’interessamento pel nostro forlivese caduto”. Per quanto riguarda il superstite, invece, si aggiunge che “è salvo miracolosamente” se si considera che è “precipitato da venti metri d’altezza” e “come l’ultimo sopra i compagni che rimasero morti sul colpo”. In questo curioso intreccio tra storia sarda e romagnola, si aggiunga che dalle parte di Cagliari ancora oggi si dice che l’area di palazzo Todde sia frequentata dai fantasmi di chi vi morì in quel triste giorno e tra essi l’anima del forlivese Gramantieri. 

Negli ultimi quarant’anni del Novecento si è fatto di tutto per rimuovere le tracce del passato industriale di Forlì, per liberare spazi che poi sarebbero rimasti senza identità, senza una chiara destinazione. Pertanto è sbiadita pure la memoria di quella Città produttiva e forte, priva dei complessi di inferiorità o delle regressioni di tempi più recenti, quando ancora si tentava di abbattere l’Eridania mentre veniva mutilata la ciminiera dell’Orsi Mangelli. Di ciò che era la Bonavita, oltre le fotografie, c’è rimasto poco o niente, qualche edificio lungo la via Andrelini, il resto fu sacrificato per un parcheggio che a sua volta è diventato un giardino. 


Si parla di