Il Foro di Livio

Un prete da battaglia

Le imprese del chierico Francesco di San Martino in Strada, misterioso uomo d'armi nel Quattrocento romagnolo

La storiografia è generosa con alcuni e avida con altri. Il nome di Francesco Gambaraldi che ricordi solletica? Poco a pochi. Per i suoi contemporanei era il Prete, cioè Prete da Forlì. Visse nella fama nel basso Medioevo come valentissimo uomo d'arme. Il nome può confondere, tuttavia è da dire che prete lo era davvero. Un prete combattente, un sacerdote che in seguito seguì la vocazione da capitano di ventura. Dispiace sapere cosa lo persuase a preferire la carriera nelle armi più che quella ecclesiastica. Lo si trova al soldo dei Visconti con una propria compagnia, più tardi combatté per Luigi III d'Ungheria contro l'esercito ottomano. Le sue gesta lo avevano reso un uomo famoso, popolarissimo tra i contemporanei. Purtroppo poco è giunto fino a noi e oggi il suo nome pare del tutto nuovo. 

Questo personaggio, pur rappresentando un singolare connubio tra vocazioni che alla sensibilità odierna sembra improbabile, non è certo l'unico caso simile di prete (o ex prete) guerriero. Però piace pensare che abbia contribuito a creare l'immaginario del “chierico” che tanto suggestiona certa letteratura fantastica, o nei giochi di ruolo dove si vagheggia un medioevo di maghi e di draghi. E non è nemmeno l'unico professionista delle armi che fu conosciuto come “da Forlì”: si pensi a Romanello. Ma anche ai meno frequentati Scaramuccia, Cipriano, Galletto, anch'essi – appunto - “da Forlì”. Sebbene, come già in altre occasioni il Foro di Livio ebbe a scriverne, i campioni cittadini più rinomati (o ancora ricordati) siano stati Giovanni dalle Bande Nere e Cesare Hercolani. Si tratta pur sempre di mercenari, quindi poco o di rado legati a vicende propriamente forlivesi. 

Tornando al Prete, da questi trascorsi all'estero, nel 1433 era di nuovo nella sua San Martino in Strada senza appendere l'armatura (o quello che era) al chiodo. Forse a fine carriera, forse collocato a riposo, difficile capirne l'età anche perché chi avesse scelto una vita così non sarebbe morto sazio di anni. In Patria fu pagato ancora una volta dai milanesi per arginare i fiorentini che sconfinavano volentieri nel nostro Appennino, da Castrocaro a Forlì. Addestrò dei contadini all'uopo vincendo gli avversari a Belfiore, più o meno nei pressi dell'attuale Villa Merenda, facendo numerosi prigionieri. Prigionieri che saranno poi condotti a Forlì ma ben presto usati come merce di scambio e liberati. A Meldola avevano trovato protezione presso Domenico Malatesta alcuni fiorentini che forse in seguito avrebbero organizzato la riscossa. Venne infatti sorpreso disarmato giovedì 6 aprile del 1441. I soliti toscani avevano attaccato Massa, sopra Vecchiazzano, i suoi contadini, incapaci di reagire a Firenze, se l'erano quasi tutti svignata. Rimasto eroicamente solo, raggiunse così di fretta – buttato giù dal letto – il luogo dello scontro ancora scalzo e con una giubba indossata alla benemmeglio. Grave errore girare scalzo: il pietrisco gli ferì le piante dei piedi e a stento poteva reggersi in piedi. 

Venne catturato dal conestabile fiorentino Andrea Corsi ma il Prete non aveva nessuna voglia di finire in galera: non si rassegnava, reagì come poté, fin quando un'alabarda gli aprì la coscia, e altri colpi furono inferti con un coltello. L'indomito Prete, però, non era morto: provò a cambiare la sua sorte trascinandosi nel cuore della notte ma sarà poi visto al vespro della domenica successiva, cadavere, cibo per gazze e corvi che già avevano fatto scempio di una gamba. Individuato il corpo, fu poi sepolto a Forlì con grandi onori. Nessuno, in città e altrove, avrebbe pensato che il Prete sarebbe stato vinto. 


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