La domenica del villaggio

Storie di ordinaria femminilità: Anna Grazia Giannini, dall'entroterra al mare aperto della competizione imprenditoriale

Il comandante donna, circostanza rara, può trovare il tempo di fermarsi un attimo a conversare con un giornalista che fu, ed è, amico del lungimirante fidanzato

Anna Grazia Giannini

Sento parlare di Anna Grazia, delle sue capacità manageriali, della sua intensa determinazione, fin dai ruggenti anni Ottanta nei quali si fidanzò (allora si diceva così) con Carlo Battistini, forlivese, attuale presidente della Camera di Commercio della Romagna. Carlo era un ragazzo gentile laureato da pochi giorni che attendeva il servizio militare e che s’interrogava sul futuro. Dietro gli occhiali da miope, però, ci vedeva benissimo. Non poteva, peraltro, frequentando Confcooperative, non notare la bella sarsinate ventenne dalla intelligenza brillante che addestrava coetanei alla nascente professione della cooperazione sociale. La politica era spaccata tra occidente e Patto di Varsavia, tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista.

Permaneva, dal dopoguerra, il collateralismo un tantino complice tra associazioni d’impresa e partiti, dunque Confcooperative e Lega Coop viaggiavano su binari destinati a non incontrarsi. Lega in quegli anni scelse di concentrarsi su commercio e costruzioni, Confcooperative, con l’orecchio teso alla eco della dottrina sociale della Chiesa, intuì, invece, la necessità di famiglie che, abbandonata la dimensione patriarcale, lasciava scoperto il fronte della gestione degli anziani. Annagrazia ne divenne protagonista e prese a guidare una neonata cooperativa, Il Cigno, che divenne, nel giro di qualche anno, una delle più importanti in Italia nel settore. Mostrando visione strategica e attitudine alla conduzione, imparando in fretta a condurre il veliero nel procelloso mare degli appalti pubblici e privati, tra le acque territoriali dei bisogni sociali e l’oceano aperto della competizione, talvolta belligerante, tra imprese sempre più grandi. Navigazione di successo, oggi stabilizzata: il comandante donna, circostanza rara, può trovare il tempo di fermarsi un attimo a conversare con un giornalista che fu, ed è, amico del lungimirante fidanzato. 

Anna Grazia, da dove vieni?
Lo sai, da Sarsina. I miei genitori non parlavano molto e non si sdilinquivano in complimenti. Come capitava a quella generazione in collina, era l’esempio e non altro che doveva a contare. Mio babbo era agricoltore, poi aprì un albergo a Cesenatico. Così mia mamma si trovò a fare l’insegnante e anche l’albergatrice.

Mi sovviene che Carlo, in una sua fase esistenziale, mi confidò che gli sarebbe piaciuto fare l’albergatore.
Una storia che racconta a me da sempre, più di una volta mi ha proposto di condurre un albergo in società. Non ci sono mai cascata: sapevo che io avrei dovuto occuparmi di tutto mentre lui si sarebbe limitato alle pubbliche relazioni. 

Ottima scelta, probabilmente la storia sarebbe andata a quel modo. Torniamo agli anni di Confcooperative.
L’associazione anche oggi è casa, per me. In quegli anni all’interno di Irecoop si faceva formazione, ero coordinatrice del corso per operatori socio sanitari a Faenza. Nascevano le prime cooperative di indirizzo sociale, grazie anche a finanziamenti europei. “Il Cigno” sorse dal nulla, dovevamo inventarci tutto, prima muovendoci in Romagna, successivamente presentandoci in Italia, concorrendo a bandi. Imparammo tutti un mestiere nuovo, sono stata a lungo presidente della cooperativa, oggi ne sono direttore generale.

Oggi cosa fate ?
Gestiamo oltre cinquecento posti letto in case di riposo per anziani non autosufficienti all’interno di strutture che guidiamo in proprio. A lungo abbiamo gestito servizi di assistenza dall’esterno, adesso non più. Facciamo, però, anche altre cose. Ad esempio a Roma gestiamo un servizio rivolto a persone senza fissa dimora, coloro che un tempo erano definiti senza tetto.

Umanamente, che esperienza è?
Impressionante e coinvolgente. Osservo il fare orgoglioso di quelle persone, talvolta penso che potrebbe capitare a chiunque di trovarsi in quelle condizioni, se la fortuna  gira contro. Accogliamo di notte chi non ha casa, persone piene di dignità che, magari, hanno da poco perso il lavoro. Dormono, fanno la doccia, mangiano, prima di affrontare la giornata che sperano porti finalmente buone notizie.

Anche italiani?
Si. Fino a qualche anno fa ospitavamo parecchi mariti che, dopo la separazione, non potevano permettersi di pagare gli affitti richiesti a Roma. Adesso per loro esiste un progetto pubblico specifico che offre mini alloggi dove possono ospitare i figli. Parliamo, comunque, di una umanità dolente, che spesso la società fa finta che non esista. Specialmente nelle grandi città, invece, è cosa di tutti i giorni. 

Torniamo alla questione anziani, una delle più delicate. Mi riferisco alle loro condizioni, al costo delle strutture per le famiglie. 
Particolarmente in Emilia Romagna ci sono servizi ad ampio spettro per sostenere le famiglie, ma tutto parte da una constatazione che va fatta: la presenza di un anziano non auto sufficiente spesso risulta impossibile da gestire per le famiglie. Ci si trova di fronte a realtà che minano l’equilibrio cercato per una vita. E le strutture che se ne occupano devono mettere in campo esperienze e professionalità complesse. Poi, potremmo chiederci a lungo se la società intera potrebbe organizzarsi diversamente, meglio. Ma, all’atto pratico, le cose stanno così.

Il rapporto con le famiglie?
Sotto questo profilo gli anni del covid ci hanno devastati, era una guerra che non sapevamo come affrontare, sia per gli anziani ospiti che per i nostri lavoratori. La comunicazione, anche giornalistica, inoltre, ha talvolta determinato diffidenza tra le famiglie. E invece noi, nelle strutture, provavamo a fare il possibile e l’impossibile, senza avere una qualche bussola a guidarci. E, per decisione, delle autorità sanitarie, peraltro condivisibili, non potevamo avere l’abituale contatto con i parenti. Dei quali conoscevamo le ansie, giustificate, sulla sorte dei loro cari. La pandemia è stata drammatica per tutti, ma per le strutture di accoglienza particolarmente.

Personalmente ne hai risentito?
Avevo la responsabilità di tante cose. Ne sono uscito con una ferita umana, temevo ogni giorno la morte degli anziani e dei lavoratori. Ne sto uscendo invecchiata di dieci anni e sai che non mi piace la retorica.

Ti credo e ne sono colpito.
Durante il primo lock down solo noi operatori sociali e sanitari potevamo uscire per andare al lavoro: percepivo il silenzio agghiacciante delle città, temevo per la vita di chi era nelle strutture, più d’una volta mi sono ritrovata a piangere, cosa che non mi è abituale. Il progetto di assistenza agli anziani presuppone al condivisione delle  famiglie che, però, per quasi due anni si sono sentite escluse. Ancora adesso fatichiamo a riprendere il rapporto che avevamo prima con i parenti, per noi è doloroso.

Cambiamo argomento. Fai parte del consiglio di amministrazione del Credito Cooperativo Romagnolo, in precedenza di quello di CariRomagna, l’antica Cassa dei Risparmi di Forlì. Sei tra le pochissime donne in Romagna ad avere esperienze bancarie del genere.
Sono una imprenditrice, ero sempre stata dall’altra parte. Conoscere le banche dall’interno è stato utile e gratificante. Le banche stanno facendo il loro, si direbbe con linguaggio dello sport. Ma tutto cambia. Le banche devono accompagnare le imprese nella innovazione continua, agendo con rapidità. Pensa, ad esempio, al tema del rispetto dell’ambiente e dei diritti delle persone. Il lavoro degli imprenditori cambia, le banche debbono essere pronte ad accompagnarlo. Dalla loro effettiva capacità di adeguarsi al cambiamento passa il futuro e il possibile benessere pubblico. 

Mi metto in una questione scivolosa, quella femminile. Per una donna è tutto davvero più difficile?
Lo è per via della famiglia. Troppi obblighi hanno le donne, e poche tutele, se vogliono portare avanti  insieme famiglia e responsabilità professionali. Conosci mio marito e sai che sono fortunata, è sempre stato disponibile a dare una mano, a condividere, ma la cultura maschile è difficile da smuovere. E però, serve anche una volontà di ferro, da parte delle donne, di volersi realizzare in un ambito esterno; tante non sono disposte perche sono sufficientemente gratificate dal ruolo che hanno in famiglia. E’ una scelta, alle donne servono condizioni egualitarie, fortuna nei rapporti, ma anche decisioni nette, precise.

Sei abituata da tanto a guidare moltissime persone. A una donna al comando serve un atteggiamento particolare?
Assolutamente no. Se quella che molti chiamano leadership ce l’hai, e se sei consapevole di averla, le persone ti seguono. Se pensi di costruirla artificialmente la gente non ti crede. Io guido una struttura cooperativa, non una azienda mia, serve  l’esempio personale, di tutti i giorni. E torno a quel che ti dicevo dei miei genitori, a Sarsina. La cultura della collina non tramonta.

Non abbiamo detto niente dei vostri figli.
La nostra “piccola” studia Giurisprudenza, torna spesso da noi. Il grande ha ventinove anni, lavora in Lussemburgo, ogni tanto dice che la non vede mai il sole. Il che spiega per la milionesima volta quanto siamo fortunati vivendo in Romagna. E io, da mamma romagnola, ingenuamente, spero che voglia tornare a casa.

Tu torneresti indietro?
No, ho accettato una vita di sfide continue, non mi sono annoiata un giorno ed è la  più grande fortuna possibile. Sono infinitamente grata a quel corso di Irecoop che ha indirizzato la mia esistenza. Rifarei tutto.

Ringrazio Anna Grazia Giannini. Buona domenica, alla prossima.


Si parla di