Cronaca

Le testimonianze di un'inguaribile voglia di vivere salgono sul palco

"Esercitando la professione di medico, credevo con grande presunzione di essere immune dalle malattie. La 'sla' mi ha sbattuto in faccia la realtà, rendendomi consapevole del limite imposto dalla mia natura mortale". Straordinaria testimonianza di Mario Melazzini

“Esercitando la professione di medico, credevo con grande presunzione di essere immune dalle malattie. La ‘sla’ mi ha sbattuto in faccia la realtà, rendendomi consapevole del limite imposto dalla mia natura mortale”. Straordinaria testimonianza del medico-ricercatore milanese Mario Melazzini, protagonista dell’incontro pubblico “L’inguaribile voglia di vivere” tenutosi venerdì scorso al Teatro Novelli di Forlì. Accanto a lui hanno testimoniato Liliana Cosi, ex prima etoile del Teatro alla Scala di Milano e Paola Cimatti, insegnante forlivese che di recente ha perso il marito Massimo, stroncato da un male incurabile. Promosso dalla Diocesi di Forlì-Bertinoro e dall’Associazione culturale “Sauro Novelli”, l’evento si inserisce nell’ambito delle celebrazioni per il 50° dalla morte della venerabile Benedetta Bianchi Porro.

“Nella vita – annuncia la moderatrice Loriana Amaducci, vice presidente dell’associazione “Novelli” – occorrono ‘compagni di viaggio’ che ci illuminino con il loro esempio, soprattutto nell’affronto della sofferenza”. Liliana Cosi racconta l’impegno profuso sin dall’adolescenza nello studio del ballo, con tanto di stage di sei mesi nella scuola del Bolshoi di Mosca che la innalza nel firmamento delle più grandi interpreti della danza classica mondiale. All’età di 21 anni la svolta: l’incontro con Chiara Lubich, fondatrice del movimento ecclesiale dei “Focolarini”, la porta a riconoscere l’importanza di un cammino di fede e di servizio al prossimo. “La mia passione per la danza – confessa – è stata illuminata dall’improvvisa scoperta di Dio-Amore, che ha dato nuova luce e senso sia alla mia vita che alla dimensione artistica”. L’insegnante elementare Paola Cimatti ha testimoniato che “la vita non è mai una fregatura”, nemmeno dopo aver perso il marito Massimo Pasini, ucciso in neanche 2 mesi da un tumore. Paola ha dato lettura dello scritto con cui le quattro figlie Simona, Ilaria, Lidia e Angela hanno salutato il padre l’indomani della sua morte, occorsa il 27 maggio 2013: “Ha iniziato a stare male il Sabato Santo (del 2013, n.d.r.) e in questo tempo ha deciso di prendere la sua croce e seguire Gesù. Infatti, da quando è iniziata la malattia, non è mai stato preoccupato di dover sistemare tutto o angosciato per noi o per il lavoro; ha abbracciato la circostanza della malattia allo stesso modo con cui, per tutta la vita, ha accolto tutto ciò che il Signore gli poneva davanti, dalle cose più belle, come l’incontro con il movimento di Cl e, in questa esperienza, con la mamma, a quelle più faticose come la crisi economica che lo aveva portato a dover affrontare continui e impegnativi viaggi in lungo e in largo per la Cina, stando spesso lontano da casa. Dopo la diagnosi ci siamo trovati tutti in ospedale e la prima cosa che il babbo ci ha detto è stata che la vita non è come uno la vorrebbe, ma non è mai una fregatura e lui e noi abbiamo ricevuto tanto”.

“Il nostro cammino – conclude Paola - continua tutt’ora, dando testimonianza del nostro amore”. Da ultimo, l’atteso intervento di Mario Melazzini. Noto al grande pubblico per le sue battaglie per gli ammalati di “Sla” e a difesa della vita, il medico è ritornato a Forlì dopo 7 anni. “Sappiate – esordì nel febbraio 2007 in una Sala congressi della Fiera di Forlì gremita all’inverosimile - che fino a quattro anni fa (nel 2003, n.d.r.) sciavo con mio figlio, mentre ora devo ricorrere ad un sondino gastrico per alimentarmi. Ma la tecnologia non è accanimento, e sono grato a questa malattia perché ha dato un senso alla mia vita e qualità alla mia professione di medico”. Melazzini attestò che “è normale, in condizioni di sofferenza, desiderare la morte se non si è presi in carico”. Diventato primario a soli 39 anni, è stato oncologo presso la Fondazione Salvatore Maugeri di Milano. Colpito lui stesso dalla sclerosi laterale amiotrofica nel 2003, ha sorpreso i presenti definendo la “sla” un dono. “La mia prima reazione, subito dopo la diagnosi, è stata di isolarmi. Mi sono rifugiato in montagna lontano da tutti, pensando anche di farla finita. E qui è successo il miracolo: mano a mano che la ‘sla’ mi invalidava costringendomi alla carrozzina e alla dipendenza totale dagli altri, mi affidavo a quel ‘mistero’ più grande che è la fede”. Melazzini definisce la malattia e la disabilità conseguente come uno strumento di vita: “Ho preso piena consapevolezza del limite rappresentato dalla mia natura mortale”. Nella sofferenza conta solo l’amore di chi ti vive accanto e condivide la prova: “Adesso sì che vivo degnamente la vita che mi è stata donata”.


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