Cronaca

Gli occhi degli amanti dell'arte tornano puntati su Forlì: come sarà la grande mostra sull'Art Deco

"Art Deco" , due parole corte e semplici, identificative di un periodo storico - quello degli anni '20 - che nell'immaginario collettivo già portano con sé atmosfere piacevoli, voglia di vita, modernità

“Art Deco” , due parole corte e semplici, identificative di un periodo storico - quello degli anni '20 -  che nell'immaginario collettivo già portano con sé atmosfere piacevoli, voglia di vita, modernità, emancipazione nei costumi, esuberanza nelle arti, bellezza come la intendiamo oggi, vale a dire seriale, un po' frivola, contaminata nei generi. Con queste due parole quindi Forlì torna celebre in Italia e nel mondo per i prossimi 5 mesi. “Art Deco – Gli anni ruggenti in Italia” è il titolo della nuova grande mostra che da sabato 11 febbraio apre al San Domenico, realizzata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi.  Fino al 18 giugno, la sede espositiva forlivese vedrà la presenza di oltre 400 pezzi, provenienti non solo dai grandi musei del Novecento, ma anche da collezioni private.

GLI ANNI '20 - La mostra, particolarmente consistente dato che si snoda su 16 sezioni, va ad analizzare, con uno spaccato storico limitato agli anni '20, questo particolare periodo di fermenti del Novecento. Il San Domenico torna quindi a confrontarsi con un periodo storico che è caro a Forlì -  città del Novecento per eccellenza - vale a dire il secolo scorso e le sue contraddizioni nelle arti, nella società, nell'economia. Già in passato ospitò “Novecento” e  “Liberty” e quest'anno il focus di Gianfranco Brunelli, coordinatore delle grandi mostre forlivesi, passa sul Deco. Brunelli lo definisce un “sentiero interrotto”: in questo periodo, infatti, emerge la modernità nella sua chiave democratica, la bellezza si fa seriale grazie alla diffusione della produzione industriale (e gli studiosi dell'epoca dibattevano a più non posso se si poteva ancora chiamare arte ciò che non era unico), le donne si emancipano (spuntano perfino le prime minigonne), c'è voglia di vita e – se c'è la disponibilità – anche di lussi ostentati, monumentali. Gabriele D'Annunzio (di cui sarà in mostra l'auto) è l'esempio più eclatante. “Un periodo storico che sembrava aver preso una certa strada, quella della democratizzazione e che invece alla fine ne ha imboccata una totalmente diversa, quella dei tragici regimi totalitari”, continua Brunelli con una doverosa premessa storica. Non a caso l'Art Deco a quel punto “emigra” negli Stati Uniti e nelle colonie inglesi. Per questo dice “sentiero interrotto”, dal momento che negli anni '60 tutto quello che era stato seminato quarant'anni prima ritorna prepotentemente per poi diventare patrimonio della società contemporanea.

COSA SI TROVERA' IN MOSTRA ==> continua

UN GUSTO, NON UNO STILE – Dal momento che l'Art Deco attraversa diverse discipline, e finisce per ritrovarsi non solo nelle arti decorative, ma anche nella moda, negli arredi, finanche nei manifesti pubblicitari, l'Art Deco è prima di tutto un gusto che ha attraversato un'epoca, e proprio questo sarà lo scopo della mostra: ricostruire il gusto estetico degli anni '20 nelle sue contraddizioni dal momento che si scontrava un'idea di bellezza elitaria e che contemporaneamente si faceva seriale e “democratica”. Per esempio una sezione sarà dedicata alla sculture di animali in vetro, marmo e bronzo, una specie di zoo di suppellettili che denota una rappresentazione della natura non più simbolica, ma semplicemente di abbellimento delle abitazioni borghesi. Insomma, una mostra “glamour” - senza per questo togliere con questo termine la scentificità del percorso storico e artistico che il comitato organizzatore ha voluto impostare. D'altra parte si va dai gessi delle decorazioni dei grattacieli newyorchesi ad una ricostruzione di una stanza del Vittoriale di D'Annunzio, da tutta una sezione dedicata all'orientalismo agli allestimenti dei transatlantici di inizio Novecento. La mostra strizza l'occhio al grande pubblico, allestendo lo spettacolo della bellezza moderna e d'un tempo contemporaneamente, quella che ancora oggi ci fa sognare e che nell'immaginario collettivo rimane imbattuta nella sua cura dei dettagli.

Ma tra le 400 opere in esposizione non manca certo l'arte e la creatività dell'epoca: dagli artisti delle Biennale di Monza e della Triennale di Milano alle opere di Gio Ponti. Lo sguardo della mostra indugia poi anche su eccellenze locali come le opere di Tito Chini alle terme di Castrocaro, quelle di Florestano Di Fausto a Predappio, e un collegamento con  il museo delle ceramiche di Faenza che in contemporanea allestisce un focus sull'art deco nella ceramica e in Romagna. 

LA SFIDA DI FORLI' – L'esposizione sull'Art Deco verrà inaugurata sabato 11 febbraio dal Ministro della Difesa Roberta Pinotti. Gli occhi sono già puntati su Forlì, perché ormai esiste un vasto pubblico non solo di esperti del settore che in questo periodo dell'anno va a curiosare e attende di vedere “che cosa combina quest'anno Forlì”. “Con la mostra dello scorso anno sul mito di Piero della Francesca Forlì ha dato un contributo determinante alla critica relativa alle influenze di Piero nell'arte”, ricorda Brunelli. E d'altra parte Forlì, non avendo alle spalle una storica tradizione come le grandi città d'arte italiane, deve puntare su questo, avventurarsi su terreni inesplorati, sondare legami e accostamenti, scommettere prima di tutto su un punto di vista frutto di lunghe discussioni in seno al comitato scientifico, mostre “uniche”. “Se un argomento viene trattato da Forlì sostanzialmente per una decina d'anni nessuno lo tratta più”, sintetizza Brunelli. Dopo 12 anni di mostre si può considerare una tradizione che non è solo simbolica: è un “credito di affidabilità” che permette la volta dopo di portare a Forlì pezzi unici e difficili da ottenere, riconosciuto anche dal fatto che ormai le grandi mostre forlivesi sono oggetto di abituali visite dei direttori del maggiori musei del mondo.

IL PERCORSO DELLA MOSTRA - “Art Deco – Gli anni ruggenti in Italia” come per le mostre precedenti sarà una mostra molto attenta ai dettagli, basti solo pensare che il colore di sfondo degli allestimenti è stato scelto dopo oltre trenta prove. Le opere a sono il meglio della produzione di quel periodo e il filo logico dell'itinerario artistico si conclude facendo affacciare un altro vero “sogno italiano”, il design. Il tutto percorrendo un sentiero necessariamente “ristretto”, per non aprire alla babele di contaminazioni che ha subito e causato l'art deco.  In mostra opere di Leopoldo Metlicovitz (sua la litografia della Turadot scelta per una locandina illustrativa della mostra) , Gio Ponti, Alfredo Ravasco, Libero Andreotti, Alberto Martini, Casorati  e tanti altri. L'esposizione si snoda tra sezioni intitolate, tra gli altri, alla “Nuova Venere”, “Il viaggio”, “Le origini”, “Moda”, “Gli interni”, “Orientalismo”.


 


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