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"Cabaret": musical per beneficenza sulla Berlino pre guerra

Sabato 27 e domenica 28 gennaio al teatro comunale di Predappio arriva "Cabaret", un musical del Teatro delle Forchette per la regia di Stafno Naldi.

Per la giornata del 28, l'intero incasso sarà devoluto a Aido e Avis.
Prima di tuffarci nelle oramai notissime note delle canzoni del Musical ‘Cabaret’, forse occorre più che rammentare, meglio dire mettere a conoscenza il pubblico attuale di cosa era la Berlino pre-guerra riguardo al discorso omosessualità e libertà riguardo alle scelte di costume, altrimenti si rischia di inquinare troppo le vere radici di quello che fu l’origine storica di quello che divenne uno dei musical più noti della Storia del Musical: quel romanzo pubblicato nel 1939 scritto da Christopher Isherwood intitolato ‘ ‘Goodbye to Berlin’, dal quale venne poi il dramma e adattamento Teatrale di John Van Druten ‘ I’m a camera’.
Se si pensa che Berlino sia oggi una città liberale e anticonformista, allora non si ha idea di cosa fosse negli anni ‘20, prima dell’ascesa al potere del nazismo.
Subito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, a Berlino fiorì una disinibita scena sessuale gay: c’erano 30 diversi periodici per omosessuali (mensili o settimanali che non videro la luce nel resto del mondo se non dopo il 1945), si trovavano senza fatica numerosi sarti che cucivano abiti su misura per travestiti e i gay o le lesbiche single in cerca di amore potevano pubblicare tranquillamente e liberamente annunci su ogni tipo di giornale.
È qui, nella Berlino degli anni ‘20, ad esempio, che venne eseguito il primo intervento di cambio di sesso, grazie agli studi scientifici sulla transessualità condotti presso l’Institut für Sexualwissenschaft (Istituto per la scienza sessuale); Sempre a Berlino Magnus Hirschfeld, a capo della fondazione no-profit situata a Tiergarten, si era battuto per i diritti dei gay fin dal 1897.
Gli scienziati intellettuali e studiosi tedeschi, già allora, stabilirono che l’amore tra persone dello stesso sesso non è né una malattia né una perversione, ma una caratteristica innata e naturale.
Quasi un secolo fa, quindi, Berlino era già sulla strada giusta, quella della non discriminazione, dell’accettare le diversità sessuali e considerarle del tutto normali. E avrebbe potuto condurre l’Europa intera sulla sua stessa strada, lasciando a noi posteri società migliori, ma l’ombra del nazismo distrusse tutto pochi anni dopo.
Da questo clima ecco emergere e provenire il romanzo di Isherwood, in realtà quasi un diario autobiografico. Profondo conoscitore delle origini, il Regista Stefano Naldi, attinge infatti come Atmosfera prima ancora che al Musical Teatrale alle origini letterarie per meglio caratterizzare i ruoli oramai famosi del Testo. Ecco quindi in questa nuova rilettura e produzione presentata da Teatro Delle Forchette per la Regia appunto di Stefano Naldi, una Sally Bowles distaccata completamente dall’icona che della stessa ne fece al cinema Liza Minnelli per rendere al meglio l’origine ‘quotidiana ma in cerca di eccezionale’ di questo personaggio che, grazie all’evidente omaggio che Naldi rende non allo stile ma al concetto Artistico di Bob Fosse,suo punto di riferimento da sempre per quel che riguarda un certo tipo di musical, diviene quasi una ‘Giulietta Masina’ della situazione. E qui chi se ne intende può capire il significato di tale scelta. Oppure ancor più di quanto già non accade in altre versioni musical come pure nel film, la latente omosessualità del personaggio dello scrittore americano Cliff Bradshaw diviene ‘non così latente’ proprio perché più vicino per dimensione ad Isherwood stesso che si recò a Berlino attrattovi dalla sua meritata reputazione di Capitale della libertà sessuale. Naldi rende più umano invece il personaggio di Fraulein Schenider, l’affittacamere, che solitamente alle origini del musical viene descritta come antiebrea convinta, facendo quel che ogni regista e attore di prosa e non di musical fa per abitudine e dovere: analizza il testo e le battute. Emerge così tutta la umanità che sopravvive, quella umanità fatta di persone comuni che oltrepassa e sopporta guerre cambi di potere che subisce che si adatta, rappresentata da questo personaggio tragico che soccombe,ma procede. Musicalmente la Regia riprende canzoni sia dall’originale teatrale che quelle aggiunte per la versione cinematografica, ne traduce i testi in una versione inedita, ( non si dimentichi che Naldi è anche autore-paroliere dei testi delle canzoni che da anni il gruppo romagnolo dei Minimo porta avanti ‘) e chiede alla Band che esegue le musiche dal vivo e ne cura adattamenti e arrangiamenti sonori, un suono che si distacca un attimo da quello più solito di questo musical ( solitamente per quanto sia un attimo sofisticato ‘ à la Broadway’ ) per ottenere un sound più vicino alla lingua italiana, che ricorda quel certo stile da Tabaren o Caffè Concerto precursore della Rivista e dell’Avanspettacolo nostrano. Un rispetto al ‘suono originale’ che raramente si trova oggi nelle traduzioni in italiano di musical stranieri,limitati al solo tradurre le parole, grazie al quale il numero ‘ con gli ananas’ ricorda pur conservando lo stampo madre, un’anima vicina a quel ‘ polvere di stelle’ casalingo fatto di hawaiane finte e marinai macho con due dita di fondotinta e ciglia finte. Una messa in scena e allestimento semplicissima ma efficace allo scopo, fatta di valigie-baule incastrate in tre vani porta vuoti, il tutto coi colori grigio caldo rosso e nero, come i colori delle divise della Gestapo. Ma dal tutte giunge prepotente il messaggio duro e spietato di una svastica arrivata poi a soffocare come una X colossale, storie sogni e progetti che non erano considerati più ‘leciti’ da chi nella vita del lecito se ne arroga il diritto di decidere per gli tutti gli altri. E tutti gli altri, lasciano inermi che accada. E,nel mezzo,quel Narratore-Maestro di Cerimonie che continua a raccontare come ‘la storia vada comunque avanti, quindi, signore e signori, damen und herren madame et messieur ladies and gentlemen, benvenuti al Cabaret!’


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